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Google riapre ai siti di poker e gaming real money, Facebook no: caos Dl Dignità

03 settembre 2018 - 12:04

Google riapre la ricerca ai siti di gioco con vincita in denaro, Facebook tiene il ban: i tanti dubbi del Dl Dignità. 

Scritto da Cesare Antonini


Ha fatto poco rumore perché di gioco d'azzardo i nostri governanti già non parlano più. Con il Dl Dignità, del resto, pare abbiano già risolto un problema che meriterebbe tutt'altro approccio. Tuttavia Google, il principale motore di ricerca del web, ha riaperto le ricerche ai siti di poker online con vincita a soldi veri ma in generale a tutti i siti di gambling. Ovviamente le pubblicità rimangono oscurate ma nelle prime posizioni ricompaiono i siti di gioco che, qualche giorno dopo l'approvazione del decreto, erano scomparsi. L'oscuramento conseguente al decreto governativo voluto fortemente dal numero uno del Mise, Luigi Di Maio, finora ha sortito pochissimi effetti per via della proroga di un anno necessaria a salvaguardare i contratti in essere.

Ma concessionarie, operatori del settore, addetti ai lavori, social media manager e siti di informazione, si sono visti già trattare come "appestati" da ghettizzare da Google e da Facebook. Azioni precauzionali e prudenziali più che reali effetti del Dl in questione. Ma mentre Google sembra essere "rinsavito" dal precedente ban, il social di Mark Zuckerberg continua a tenere oscurate o in "shadow ban", le pagine dei principali concessionari.
La situazione è paradossale. Se ad essere vietata è la pubblicità perché ci sono stati tali oscuramenti "pre flop", verrebbe da dire usando una metafora strettamente pokeristica? E' evidente che i due colossi abbiano qualcosa da temere dal nostro Governo così come da tutti i regolatori e dall'Unione Europea o da Antitrust o enti che governano i mercati. Ovviamente per le loro posizioni dominanti, per il regime di tassazione e le modalità di fatturazione dei volumi raccolti, i colossi in questione non vogliono e non possono sbagliare nulla e rischiare ulteriori sanzioni.
Ma noi sosteniamo da tempo che se il gioco non è stato vietato, allora dobbiamo pure poter raggiungere fisicamente e online i nostri portali di gaming preferiti. Ha senso, quindi, oscurare la ricerca dei siti dalle pagine dei motori di ricerca e dai social? Secondo noi no, come non avrà senso togliere le insegne dei betting shop o delle sale slot. Ma l'interpretazione più restrittiva del divieto di pubblicità sembra negare anche questa possibilità. Allora, perché è possibile mettere su l'insegna "Tabaccheria" e potrebbe non essere possibile tenere quella di Sala Scommesse o Sala Slot? Tutte riflessioni che aprono mondi, non scenari, davvero inquietanti e pieni di dubbi e incertezze.
E' possibile che Google abbia ripescato i contratti in essere e che molti siti spariranno nuovamente tra qualche mese o tre un anno (anzi ormai tra 11 mesi) quando si esaurirà la proroga del ban. Tuttavia se non ci sono contratti pubblicitari o di push sui motori di ricerca, perché un'azienda legale e legalizzata deve sparire dalla "strada"? Se io cerco una poker room dove giocare perché non dovrei avere la possibilità di raggiungerla via web? O uno "spirito santo" dovrà suggerirmi di giocare su questa o su quell'altra room o bookmaker? E' come se andassimo per strada a chiedere dov'è la prima slot utile dove infilare 2 euro for fun e rischieremmo multe da 50mila euro per un'indicazione stradale.
Ma il divieto è totale, totalizzante e chiarissimo. Non vogliamo neanche tornare a commentare un provvedimento al quale saremmo tutti costretti a convivere.
Nel dare la buona notizia, però, riemergono tanti dubbi e ombre su una situazione paradossale che sta vivendo il nostro Paese. La speranza è che il Governo ripensi la legge quando, tra un anno, avrà i suoi primi, devastanti, effetti. Per adesso Google, Facebook, alcuni operatori, hanno solo reagito causando i primi danni e le prime anomalie del mercato. Loro malgrado, ovvio. Hanno tutta la nostra comprensione. Ma una soluzione va trovata. E tutti insieme.
 

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