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L'inchiesta di Wired sulle bische online di poker e la disparità di trattamento di social e polizie per il gioco legale

24 maggio 2021 - 16:49

Wired e l'inchiesta sulle bische e le app online illegali e la luce cade sulla disparità di trattamento tra operatori leciti e chi può fare pubblicità come vuole sui social. 

Scritto da Cesare Antonini

Una bella inchiesta quella di Wired sulle bische online proliferate, è verissimo, durante il primo il lockdown e cresciute col secondo, molto più lungo, ma che vengono pubblicizzate alla luce del sole e senza particolari remore da parti di players e organizzatori. Il tutto mentre l’ombrello del decreto Dignità si è aperto oscurando gli operatori legali che non possono assolutamente pubblicizzare il loro prodotto, questo sì, legale.

Assurdo eh? Ma siamo in Italia e siamo nel settore del gioco d’azzardo dove una certa parte politica ha demonizzato un’industria già oberata e massacrata da tasse e controlli fino a tenerla chiusa quasi un anno per il Covid-19 (e sarà poi quasi un mese e mezzo di più rispetto a quelli di altri settori forse anche più pericolosi in termini di contagio), ottenendo questi meravigliosi risultati.

Senza andare ad analizzare un’inchiesta ben fatta ma con diversi paradossi e imprecisioni, vorremmo solo soffermarci proprio sull’aspetto della pubblicità e per due ordini di problemi.

Il primo riguarda l’aspetto pubblicità che Wired cita indicando il decreto Dignità ma non approfondisce il paradosso cui accennavamo poc’anzi. Facebook ha subito bloccato le pagine dei concessionari di gioco legali e autorizzati dallo Stato alla raccolta, lasciando proliferare profili personali che non hanno grosse difficoltà a pubblicizzare anche partite di cash game dal vivo in appartamenti o promuovere app cinesi, come quella citata dall’articolo di Wired, o altre room prive di licenza italiana ma perfettamente legali in altri paesi e regolamentazioni. Perché non vengono denunciate queste situazioni? Perché i social network, non solo Facebook ovviamente, non offrono a tutti lo stesso trattamento e le stesse regole non valgono sia per chi è legale ma, a maggior ragione, dovrebbero essere inasprite per chi è illegale e addirittura evade anche le tasse (il riferimento non è per nessuno in particolare ma sono situazioni che possono capitare)?

E, con il grande rispetto per la divisa e per tutto il lavoro che fanno contro il gioco illegale e le mafie, sentir parlare alcuni esponenti delle forze dell’ordine di questi fenomeni palesando difficoltà nel controllo e la repressione degli stessi, fa venire rabbia. Sì perché se il gioco “punto it” è cresciuto, stime proprio di oggi palesando una crescita del mercato illegale a 22 miliardi di euro. E se è vero che qualcosa può sfuggire al tracciamento e al classico metodo investigativo “follow the money”, queste bische online hanno raccolto molti soldi e c’è il rischio che, andati a finire in certe liquidità, i players non torneranno più.

Ma le stime parlano chiaro e, euro più euro meno, il danno delle chiusure al gioco pubblico è elevatissimo. E come mai se viene scritto palesemente sui social un link di una app dot com o un sito senza licenza, non si possono perseguire queste persone che compiono un bel pacchetto di reati ma magari si bloccano altre pagine a caso e, addirittura, quelle legali?
Perché quella certa parte politica presenta interrogazioni parlamentari sbagliando anche il tiro e confondendo operatori di gioco legali con operatori illegali, e non affronta questa tematica gravissima dove, davvero, non essendoci tracciamenti chiari, si rischia di perdere somme importanti o di essere truffati nei pagamenti e nel gioco ai tavoli? La realtà è questa ma è irreale che i social e le autorità lascino fare indisturbati tutti questi soggetti.

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