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Kuraitis, il presunto complice di Postle: 'Accusato senza prove e per fare follower su Twitter'

16 settembre 2020 - 08:06

Parla il complice (presunto) di Mike Postle, Justin Kuraitis e contrattacca i suoi accusatori. 

Scritto da Ca

Justin Kuraitis, il presunto complice di Mike Postle, player diventato praticamente imbattibile nella Stones Gambling Hall, è stato riassunto dal casinò di Sacramento. E sui social ha rilasciato una serie di dichiarazioni martedì su Twitter riaffermando la sua innocenza e attaccando i suoi accusatori.
Oltre a condurre i tornei allo Stones, Kuraitis è stato anche responsabile del live streaming di Stones Live Poker, ed è stato ritenuto da molte figure di alto profilo nel mondo del poker il complice che forniva informazioni sulle carte coperte a Postle.
La causa è fondamentalmente finita a questo punto poiché 62 degli 88 ricorrenti nel caso hanno accettato un patteggiamento che, da una parte, certifica la truffa di Postle, dall'altra evita risarcimenti di diverse centinaia di migliaia di dollari. Ma se anche lo Stones e i presunti bari dietro all'operazione sono innocenti e non ci sono prove, come mai alcuni players riceveranno il risarcimento? 
A dirlo è stato più volte lo stesso Mac VerStandig, avvocato dei querelanti, ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che non c'erano prove a sostegno delle affermazioni secondo cui Kuraitis e Postle avevano barato, cosa probabilmente richiesta come parte dell'accordo di transazione.
E, come detto, Kuraitis, passa anche al contrattacco: "È venuto fuori che questa 'comunità' non si preoccupava del giusto o dello sbagliato, dell'equità o di una revisione cruciale dei fatti reali", ha scritto Kuraitis in una dichiarazione di quattro pagine. "È stata una corsa al giudizio con la mafia di Twitter interessata a dire cose oltraggiose e saltare a conclusioni ingiustificate, il tutto nel tentativo di ottenere follower, clic e Mi piace".
Alcuni players si sono schierati col floorman visto che Kuraitis ringrazia "Rudy Robledo, Kirk Rexford e gli innumerevoli giocatori di poker locali di Sacramento" per aver fatto circolare una petizione affinché Stones lo riassumesse.

Secondo il presunto complice i media del poker Usa avrebbero ignorato la petizione. Insomma, il giustizialismo è forte anche negli Usa.
Ma a licenziarlo, pare, sia stato il coronavirus e non la causa dello Stones Gambling Hall.
Anche Postle ha rotto il silenzio martedì, dicendo al Sacramento Bee che sta partecipando a un documentario per raccontare la sua versione della storia che "non sconvolgerà solo l'industria del poker e del gioco d'azzardo, ma il mondo intero".

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